Etica ed affari: binomio inscindibile per lo sviluppo socio-economico del Paese   

Progetto LEALMENTE

Leadership Etica Affari: un Lavoro di Mentoring  per l’Eccellenza

di Daniela Troina Magrì

 

L’intervento di Daniela Troina Magrì al convegno sulla leadership organizzato dalla FIDAPA -distretto Centro- Fondi 22 Settembre 2007 è stato pubblicato sul sito internet www.danielatroina.it  il 28-09-07 

(Saluti e ringraziamenti iniziali)

La crisi dei valori che riguarda una parte rilevante del management responsabile del sistema economico del Paese richiede una nuova leadership e l'intervento attivo di donne capaci e competenti. La loro formazione, motivazione e attivazione passa anche attraverso un pervasivo programma di mentoring del quale la nostra associazione, la Fidapa , può farsi promotrice a livello distrettuale e nazionale.

Presentiamo oggi il progetto LEALMENTE,  che prende le mosse dalla convinzione che Etica ed Affari siano un binomio inscindibile per lo sviluppo socio-economico del Paese, certe di poter far leva sulle peculiarità della realtà italiana della BPW caratterizzata dalla lunga e consolidata tradizione associativa e dalla ricchezza delle esperienze rappresentate da donne impegnate nei più diversi campi della vita economica e sociale del Paese.

Accanto agli interventi di  formazione e mentoring, tesi a potenziare le capacità manageriali e gestionali che sono già stati avviati da più soggetti, riteniamo indispensabile un’azione nuova e concreta sulla leadership, termine molto utilizzato in azienda ma nella pratica spesso confuso con management. LEALMENTE è l’acronimo di Leadership Etica Affari: un Lavoro di Mentoring  per l’Eccellenza.

   

La leadership

 Vorrei provare a tracciare insieme a voi il profilo di un leader aziendale così come lo intendo io, e, con me, un gran numero di persone di buon senso ed esperienza, per chiarire il perché ritengo così importante, innovativo e sopratutto urgente strutturare questo progetto di mentoring (inizialmente come progetto pilota) per cercare di estenderlo successivamente nella maniera più capillare ed efficace possibile.

 Nei miei 25 anni di vita aziendale ho frequentato decine di corsi sulla leadership in varie parti del mondo, e letto numerosi libri e pubblicazioni sull’argomento. La definizione più sintetica ed efficace di leadership è, secondo me, quella di John Maxwell, un famoso consulente americano, che tra gli altri interessantissimi libri di management ha pubblicato nel 2002 ”Le 21 qualità indispensabili di un leader”(1). John Maxwell si sofferma su queste  qualità:

 1.     Carattere: la solidità della roccia

    1. Carisma
    2. Impegno
    3. Comunicazione
    4. Competenza
    5. Coraggio
    6. Discernimento
    7. Focalizzazione
    8. Generosità
    9. Iniziativa
    10. Ascolto
    11. Passione
    12. Atteggiamento positivo
    13. Risoluzione dei problemi
    14. Relazioni con le persone
    15. Responsabilità
    16. Sicurezza
    17. Autodisciplina
    18. Essere al servizio
    19. Ricettività
    20. Visione

 I veri leader sono  persone che(2) ingenerano fiducia, sono persone oneste, comunicano apertamente idee e valori, rispettano i lavoratori allo stesso modo dei partner, badano più agli obiettivi comuni che a quelli personali, fanno ciò che è giusto anche a costo di rischiare personalmente, sono capaci di ascoltare, mostrano partecipazione, sanno tenere i segreti e soprattutto rispettano gli altri.

 Nella mia vita professionale ho incontrato moltissimi manager e un buon numero di leader ma in realtà la più grande lezione di leadership l’ho ricevuta alla fine degli anni ’80, su un aereo di linea, da una passeggera, mia vicina di posto, una signora che, come me, stava rientrando nella sua sede di lavoro dopo un breve periodo di vacanza trascorso in Sicilia presso la famiglia di origine. Ero stata da poco nominata direttore di filiale, avevo già maturato una discreta esperienza manageriale essendo stata a capo di strutture commerciali  e mi interrogavo, sin dal momento in cui mi era stata assegnata una responsabilità più ampia, sulle competenze necessarie a motivare gruppi misti che includevano anche addetti ad attività tecniche e amministrative. Mi chiedevo se e quanto il contenuto e le modalità di una certa attività potessero incidere sulla soddisfazione sul lavoro.

La signora mi raccontò di essere caporeparto in una piccola fabbrica che produceva componenti per calzature e di aver appena telefonato alle quattro operaie del suo gruppo per comunicare loro la notizia che la televisione avrebbe ripreso e poi mandato in onda una importante sfilata di moda (se non ricordo male quella di Trinità dei Monti a Roma) nella quale le modelle avrebbero indossato le scarpe di un famoso stilista al quale la loro fabbrica forniva le tomaie. L’entusiasmo e la passione con la quale mi spiegava il livello di qualità da loro raggiunto, il modo in cui mi lasciava intendere l’affiatamento del gruppo come prerequisito per raggiungere livelli di efficienza richiesti, il brillare dei suoi occhi  mi impressionarono molto. Avevo scoperto che quella signora di mezza età, sicuramente non laureata, era una vera leader.

 

Il Mentoring

 Uno degli strumenti chiave per lo sviluppo della leadership delle donne negli affari e nelle professioni è il mentoring.

 L’impegno della BPW sul mentoring

Siamo molto fiere delle attività svolte dalla nostra associazione sulla leadership ed in particolare di quelle che la International Federation delle Business e Professional Women (BPW) ha avviato sul tema del mentoring. Il sito internet www.bpw-international.org/services/bpw-services-mentoring.htm, nel tracciare le linee guida sul mentoring (in cui mi sono perfettamente ritrovata), offre interessanti strumenti di lavoro e spunti che possono essere adoperati dalle associate allo scopo di utilizzare al meglio le esperienze maturate da altri e non correre il rischio di “reinventare la ruota”. Sono stati sviluppati numerosi progetti in diverse parti nel mondo ciascuno con una propria specificità ed obiettivo, ma tutti rispondenti alla missione della nostra associazione così come fu enunciata dalla  Dr. Lena Madesin Phillips  fondatrice della International Federation of Business and Professional Women  (BPW International):  

"Each Woman, as a Citizen, must bring to the national policy of her own country, the contribution of forward-looking and constructive thought followed by determined action. Each Woman must dedicate herself to protect and promote the interests of all other women in business and the professions."

“Ogni Donna come Cittadina deve apportare  alle strategie del proprio Paese il contributo di visione e idee costruttive seguite da azioni determinate. Ogni Donna deve dedicarsi a proteggere e promuovere gli interessi di altre donne negli affari e nelle professioni.”

Che cos’è il Mentoring – la mia esperienza personale come mentee e come mentor

Ma che cosa è il mentoring? E’ un programma nell’ambito del quale un individuo fornisce supporto incoraggiamento e guida ad un altro sulla base della propria conoscenza ed esperienza professionale e personale con riferimento al tema di mentoring prescelto.

 Personalmente ho tratto grande beneficio dalle numerose esperienze di mentoring in cui sono stata coinvolta  sin dalla metà degli anni 90, sia in veste di "mentee" quando in IBM mi fu assegnato un mentor internazionale (era un VP americano di grande esperienza), sia come mentor di giovani talenti, inizialmente donne e poi anche uomini.

Ed il mentoring è stato anche uno dei cinque progetti orientati a sviluppare la leadership femminile, che ho contribuito ad avviare in IBM Europa, in qualità di Presidente dello "European Women Leadership Council" nel 1996, anno della sua fondazione.

  “E’ ampiamente riconosciuto che acquisiamo competenze, cultura e valori direttamente da altre persone in particolare da quelle che ammiriamo o con le quali ci relazioniamo. Noi impariamo interagendo con quelle persone e osservando ed imparando alcuni comportamenti…..Nella relazione di mentoring tradizionale il mentor è una specie di personal trainer che motiva e assicura che il mentee / protégé riceva tutte le competenze, la conoscenza, le informazioni e il supporto necessario” (cfr. “Mentoring for women” di K. Scott BPW Australia, Swan Hill, 1999).

 La parola mentor (mentore) proviene dall’Odissea: quando Ulisse partì per la guerra di Troia affidò il figlio Telemaco all’amico Mentore perché gli facesse da precettore.

Tra le coppie famose di mentor/mentee una delle più celebri è certamente Aristotele e Alessandro Magno.

 Mentoring è diverso da coaching. Mentre il coacher (allenatore) si focalizza sulle tattiche di lavoro per un rapido raggiungimento dei risultati operativi di breve termine,  il mentor ricorre all’esperienza per aiutare un altro individuo, il mentee,  ad avere successo in azienda e nella vita, il che comporta che nel mentoring si instauri un dialogo ed una intesa più personale; rappresentando il mentor un consigliere saggio, fidato e onesto.

Vi deve essere una naturale affinità tra il mentoring ed il mentee e le persone che scelgono di diventare mentor devono avere passione per questa attività. Questa passione comprende fra l’altro il desiderio da parte del mentor di sviluppare i leader del futuro. Il mentor deve avere la capacità di ascoltare e consigliare, di fornire sostegno, guida e incoraggiamento e punti di vista indipendenti.

Per un mentor trovare il tempo di lavorare con le persone è sempre una sfida ed ecco che è proprio la passione di aiutare gli altri che entra in gioco. Ciascun mentor può avere una sua metodologia per aiutare ed incoraggiare lo sviluppo professionale del mentee, ma certamente caratteristiche comuni dei mentor dovrebbero essere:

  • avere pazienza
  • sapere cosa deve essere fatto
  • ascoltare attivamente
  • incoraggiare il cambiamento
  • mostrare rispetto
  • essere esempio di riferimento
  • essere disponibile
  • sviluppare le persone non le loro attività
  • essere onesto.

Ci possono essere due tipi di relazioni di mentoring: formale ed informale. Le relazioni informali sono sviluppate tra le due parti indipendentemente; un programma di mentoring formale, invece, fa riferimento a ben precisi piani in cui si formalizzano gli obiettivi, la tempistica, e che prevedono programmi di formazione e di valutazione del processo. Il mentor non è un capo diretto né ha un ruolo organizzativo di supervisore e il fatto che il suo ruolo non sia, per definizione, valutativo consente una modalità di scambio libero, propositivo e pertanto molto più efficace.

Il mentor non deve dire al mentee cosa fare o prendere delle decisioni in sua vece, l’essenza del mentoring è fornire e discutere alternative. E’ poi il mentee a scegliere la migliore alternativa disponibile.

 Dal mentoring traggono vantaggio sia il mentor che il mentee essendo una esperienza di formazione a due vie che genera innumerevoli benefici nello sviluppo professionale, personale e manageriale per entrambi.

 Benefici per il mentor: (3)(4)

  • sviluppo delle capacità manageriali, di leadership e comunicazione
  • opportunità di formazione grazie al confronto con nuove idee e modi di pensare (del mentee)
  • aiuto a sviluppare e supportare i leader del futuro
  • soddisfazione personale per aver contribuito allo sviluppo della società attraverso la condivisione di idee ed esperienze
  • aumento del rispetto, prestigio, autostima, sicurezza

Benefici per il mentee:

  • incremento di sicurezza ed autostima
  • crescita personale e supporto nel raggiungimento degli obiettivi
  • miglioramento di capacità di relazione e comunicazione
  • miglioramento della capacità di chiarirsi gli obiettivi personali e professionali
  • raccolta di idee e tecniche per il miglior bilanciamento del proprio tempo
  • opportunità di formazione grazie al confronto con nuove idee e modi di pensare (del mentor)

Benefici per le organizzazioni:

  • incremento di leadership e capacità manageriali e di relazione
  • incremento della motivazione degli impiegati e della loro soddisfazione nel lavoro, dedizione e lealtà
  • maggiore capacità di attrarre e mantenere personale eccellente
  • diminuzione del turn over
  • dimostrazione dell’impegno della azienda/organizzazione verso gli impiegati/associati
  • stimolo per ulteriori progetti di mentoring.

   

Il progetto della FIDAPA Distretto Centro: la nuova leadership in azienda

 Prima di entrare nel merito della proposta di progetto vorrei condividere con voi tre riflessioni che mi hanno indotto a ritenere che siano maturi i tempi per avviare oggi un progetto di mentoring sul tema Leadership Etica ed Affari e ad assegnargli il nome LEALMENTE:

1        L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti

2        Il rapporto tra azienda, economia e valori sociali: la diffusione del fenomeno del mobbing

3        Il binomio Etica e Affari

 

1) L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti

Le statistiche dicono che le donne raramente raggiungono posizioni di alto livello, nonostante negli ultimi 20 anni siano entrate nel mondo del lavoro un numero elevatissimo di laureate eccellenti.

Le analisi svolte da consulenti ed addetti ai lavori finiscono per attribuire alla “logistica” e ai pregiudizi degli uomini la colpa di questa situazione. Non vi è dubbio che la mancanza di tempo, l’enorme carico di responsabilità extralavorative che la donna si assume,  le necessità familiari, le carenze di strutture di supporto, il perpetuarsi di una cultura manageriale che privilegia le caratteristiche maschili costituiscano un serio ostacolo alla crescita manageriale delle donne ma io credo che, oggi, le motivazioni che stanno alla base di questa progressiva riduzione della presenza femminile man mano che si progredisce lungo la piramide organizzativa, siano più profonde.

A fronte dell’evidente impoverimento etico e intellettuale in cui versa un cospicuo numero di manager, c’è secondo me, da parte di persone intelligenti, capaci e sensibili, il rifiuto e il disgusto di fare delle cose ritenute inutili, se non addirittura controproducenti,  di sprecare il proprio tempo, altrimenti produttivamente utilizzabile per la cura della famiglia, dei figli, degli anziani, dei vicini. Non è solo una questione di trovare il  tempo. Sappiamo tutte che, volendo, riusciamo ad organizzarci, c’è invece il rifiuto di prostituirsi intellettualmente, il desiderio di evitare riunioni serali non sempre rivolte alla risoluzione di problemi ma miranti a confortare o, peggio, adulare un capo insicuro, il rifiuto di trovarsi in situazioni ambigue o di essere costrette a prendere decisioni non etiche. Un interessante contributo alla comprensione degli ostacoli incontrati dalle donne nel loro percorso di crescita manageriale è stato fornito, tramite  il Progetto Brave, dalla Fondazione Marisa Bellisario che ha coperto nel periodo luglio-dicembre 2005 un ampio campione di donne che nell’ambito del proprio iter lavorativo sono riuscite a raggiungere livelli di eccellenza nell’organizzazione cui appartengono. C’è anche un dato interessante e, secondo me sottovalutato, che  emerge dalla ricerca. Alla domanda se le donne avessero la stessa capacità di lobbying degli uomini il 61% risponde si ed il 39% no. Approfondendo il tema, si scopre che solo il 23% risponde perché hanno meno tempo, mentre ben il 41%  perché hanno meno interesse, ed il 35% è raggruppano nella voce per un pregiudizio culturale.

Io attribuisco una parte di questa automatica deselezione al “principio di Leonardo da Vinci” saggiamente enunciato dal Prof. Sutton dell’Università di Stanford in un libro appena uscito in Italia dal titolo un po’ forte, ma molto incisivo: “Il metodo Antistronzi”(5). L’autore invita chi si trovasse nella situazione di decidere se accettare o meno un incarico in un azienda governata da manager poco raccomandabili, a non mischiarsi con gli stronzi perché, secondo il principio di Leonardo, “E’ più facile resistere all’inizio che alla fine”. E, mentre mette in guardia contro questi personaggi che in molte aziende tendono a prolificare come conigli, avverte il lettore del loro costo aziendale specialmente quando occupano posizioni apicali dalle quali credono di poter trattare gli altri con disprezzo o peggio ancora, essere elogiati e premiati per questo, lo fa citando numeri e statistiche.  Secondo numerose ricerche, infatti, il loro comportamento aggressivo ed umiliante demotiva i collaboratori, sgretola l’affiatamento del gruppo, causa l’aumento del turnover e dell’assenteismo, provocando danni enormi non solo alle vittime ma anche alle strutture in cui operano. Le interazioni negative, per esempio, hanno un effetto cinque volte superiore sull’umore di una persona di quelle positive.

L’autore conclude con un invito all’azione: Il succo di questo libro è molto semplice: il tempo a nostra disposizione su questa terra è molto limitato. Non sarebbe splendido trascorrere la vita senza dover incontrare qualcuno che ti mortifica con i suoi commenti e le sue azioni? Questo libro ha l’obiettivo di estirpare questa malapianta e di far capire a questa gente che così priva il prossimo della sua autostima e della sua dignità. Se non ne potete più di lavorare a Bastardopoli e se non vi va più di passeggiare sul Viale degli Stronzi, beh, allora impegnatevi a contribuire ad un clima lavorativo civile. Certo lo sapete già. Ma non è arrivato il momento di fare qualcosa a riguardo?  

Io ritengo di si. Mi conforta, tra l’altro, l’arguta osservazione dell’attuale Direttore Generale della Luiss, Pier Luigi Celli, che nella prefazione al libro scrive: Gli stronzi non hanno paura di niente, tranne che della dignità. Anche gli stronzi hanno un lato debole: alla lunga si decompongono. Basta lasciarli esposti. La chimica è una grande alleata, sporca ma anche ripulisce il mondo.

 

Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti

Peraltro rilevo che ci sono molte più donne impegnate anche a livelli dirigenziali nel volontariato piuttosto che nel privato. Perchè? Sono ragionevolmente certa che la risposta stia nel fatto che, così facendo, le donne pensano di contribuire di più e di servire meglio la società.

Come ho avuto modo di osservare in occasione della tavola rotonda organizzata qualche tempo fa dalla Fondazione Bellisario nel XV anniversario della morte di Marisa Bellisario, le donne hanno storicamente privilegiato le professioni di “servizio” alla società, penso all’assistenza sanitaria, all’insegnamento: la percentuale di donne infermiere, medico, insegnanti e’ sempre stata elevatissima. In quella occasione, pensando al mio impegno manageriale ed al significato economico-sociale che ad esso attribuivo e, facendo un parallelo con le attività delle nostre mamme e nonne, avevo prospettato la visione di una managerialità al servizio della società (includendo in questo termine certamente il datore di lavoro in senso stretto, ma anche gli impiegati e  il territorio di riferimento).  Forse i tempi non erano allora ancora maturi, ma l’attuale situazione di degrado così brillantemente ed efficacemente delineata dagli addetti ai lavori nelle pubblicazioni citate ed in numerose altre (ad alcune delle quali farò riferimento in seguito), chiamano a raccolta le migliori energie del Paese.

Ho una grandissima ammirazione per le persone che fanno attività di volontariato perchè svolgono, tra mille difficoltà, un servizio molto utile in tante situazioni di disagio presenti nella società, credo però che alcune di queste energie potrebbero più efficacemente, essere convogliate su azioni, per così dire, preventive. Mi è capitato, per esempio, di andare in Ospedale e vedere delle efficientissime signore della Croce Rossa assistere i pazienti, facilitare le operazioni logistiche e lavorare alacremente per colmare i buchi organizzativi della struttura sanitaria e di essere rimasta impressionata dalla capacità organizzativa e dalla serena leadership che aleggiava intorno a loro. All’auspicio di vedere aumentare l’adesione a tale iniziative si è immediatamente sostituito in me il rammarico che qualcuna di quelle signore non avesse per tempo deciso di intraprendere una carriera per diventare Direttore Sanitario o Direttore Generale dell’Ospedale; così pure quando vedo il lavoro svolto da bravissimi volontari della Caritas mi chiedo se non sarebbe opportuno cominciare a formare qualcuno di loro a diventare un politico o amministratore pubblico. Io credo che le persone che si dedicano al Volontariato per coprire le carenze croniche del sistema produttivo, dovrebbero ripensare alla loro attività ed al loro impegno sociale cercando di capire che il livello di servizio che potrebbero offrire alla società sarebbe molto più elevato se si attivassero su un percorso di crescita professionale che li potesse portare ad assumere responsabilità gestionali e manageriali attraverso le quali risolvere alcuni di questi annosi problemi alla radice. Penso che una società che si affida al volontariato per risolvere i propri problemi strutturali, trascurando di avviare politiche e progetti per la risoluzione di questi problemi, sia una società incivile, ne più ne meno di una società che usa il precariato per svolgere, su base continuativa, attività portanti per la sua missione istituzionale.

Ed allora ecco che, ritornando al tema del nostro progetto di Mentoring,  è importante spiegare a tutte le persone dotate di talento che, come dice John Maxwell (2): Il potere in se è neutrale come il danaro. E’ uno strumento che può essere usato bene o male. Uno dei guai legati al potere è che le persone che lo detengono (spesso)  considerano il suo mantenimento la cosa più importante non capiscono che gli è stato dato perché lo rendessero un servizio (e generano così delle errate convinzioni negli altri sul rapporto potere, economia e valori sociali).

 

2) Il rapporto tra azienda, economia e valori sociali : il fenomeno del mobbing

Personalmente ritengo che l’obiettivo principale di un Azienda nazionale o multinazionale debba essere quello di creare valore attraverso la produzione di un profitto che, oltre che retribuire gli azionisti, dovrebbe essere  reinvestito nel territorio che l’ha generato per creare servizi efficienti, nuova occupazione, ricchezza e qualità di vita.

Do per acquisiti, come patrimonio aziendale e personale, anche se non sempre è così, gli indispensabili strumenti di governance, controllo e compliance, e mi soffermo qui più sul  tema che definirei umanistico del nostro progetto di mentoring. C’è la necessità di chiarire ai futuri leader gli obiettivi strategici e le sane potenzialità del profitto.

Talvolta, oggi, assistiamo ad enunciazioni di responsabilità Sociale d’impresa o  CSR e, per fortuna, come notava in un suo intervento S.E. Angelo Scola Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense(6): l'etica è chiamata in causa dall'economia in vista della sua stessa efficienza. Tralasciamo, per un momento, di chiederci se questo appello sia solo interessato e non domandiamoci neppure se esso sia adeguato, per limitarci ad esaminare brevemente, da un puro punto di vista empirico descrittivo, la relazione etica/economia.

Tradizionalmente, le aziende hanno risposto a problemi di tipo etico o, più genericamente, di responsabilità sociale, seguendo quattro linee.

a) Con l'attenzione alle relazioni interne all'azienda; l'attenzione al personale, alle relazioni umane intra‑aziendali, considerate come un patrimonio dell'azienda oltre che come un dovere dell'imprenditore. Si va dalla classica scuola delle human relations (Mayo) degli anni '40‑' 50 in America, all'idea dell'impresa come "clan" (con i valori ed i limiti di questa intuizione) negli anni '80, alle idee della Mitbestimmung tedesca, ecc.

b) Con la cura di certi obiettivi sociali cui l'impresa può direttamente rispondere (risolvere la disoccupazione attraverso comportamenti che ne favoriscono la tenuta in periodi di crisi): è questo un obiettivo postbellico; prima della guerra un fenomeno analogo era quello delle imprese che curavano certi servizi per le famiglie dei lavoratori (casa, colonia dei bambini, ecc.); con l'attenzione a obiettivi sociali condivisi (cultura, formazione, ricerca) attraverso lo strumento delle fondazioni: oggi in Italia, il sistema bancario ‑ in particolare quello evolutosi dal mondo cooperativo ‑ usa moltissimo questo strumento che riversa nel sociale parte dei profitti; con l'attenzione a non creare o ad aiutare a risolvere problemi di esternalità associati al funzionamento delle stesse imprese, come i problemi ambientali in particolare.

c) Con l'assunzione di obiettivi aziendali che "vincolano" i profitti ad un utilizzo per particolari bisogni (formazione di uomini) o per il bene comune.

d) Impiegando imprenditorialità direttamente nella produzione di beni collettivi e servizi sociali, attraverso strumenti come quello delle organizzazioni non profit.

Non si può dire che tali linee di lavoro non abbiano dato risultati; anzi è proprio la loro presenza, quando non sia sporadica, a segnare il crinale fra un capitalismo che taluni chiamerebbero "selvaggio" e un capitalismo sociale. Tuttavia, tali linee sono spesso fragili. Di fronte a crisi, problemi di ristrutturazione e, soprattutto, di fronte agli imperativi della concorrenza, questi obiettivi si rivelano spesso come marginali, i primi ad essere sacrificati per garantire il buon funzionamento dell'impresa come tale. (specie nelle multinazionali)

Secondo Linda Trevino (2) le infrazioni all’etica spesso sono il frutto della cultura aziendale o della pressione del management quando l’azienda si scopre incapace di tener fede alle previsioni ed alle aspettative e cerca di adattare le regole alla situazione.

E così si spiega il fenomeno del mobbing  che è una delle piaghe più dilaganti nel mondo del lavoro, basta parlarne con gli addetti ai lavori sul fronte psichiatrico. Costanzo V. Timpanaro G. Proietti L. in una recente pubblicazione (7) ci ricordano che secondo le statistiche dell’European Foundation for the Improvement of Living and Working condition nel 1996-97 il mobbing coinvolgeva in Italia circa 800.000 – 1.000.000 di persone. Negli ultimi anni è in incremento per motivazioni di carattere macroeconomico  (globalizzazioni, fusioni, recessioni ecc.), per il cambiamento delle tipologie di lavoro e dei correlati rischi lavorativi, e per la mancanza di una normativa giuridica specifica tutelante. Secondo i dati ufficiali, in Italia, oggi oltre un milione e mezzo di lavoratori è colpito da azioni di mobbing. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale. Al numero relativo ai lavoratori vittime di azioni di mobbing andrebbe aggiunto quello relativo alle altre persone coinvolte dal fenomeno (amici, parenti, colleghi) che farebbe salire la cifra a circa 5 milioni di persone ed è più diffuso nella grande impresa.

Fogliani T.M., Paci R., Falcidia G., Fogliani A.M. dell’Università degli studi di Catania nel loro studio: Quando lavorare diventa impossibile “riflessioni sul mobbing” appena pubblicato sulla rivista “Formazione Psichiatrica”(8)  riportano una disanima degli studi italiani sul fenomeno mobbing dalla quale risulta che in Italia le denunce sono numerose nelle strutture ad alta competitività. Le persone più colpite sono manager, dirigenti e quadri ed i lavoratori con una scolarità medio alta.

Il bossing è un particolare mobbing praticato da boss che, con motivazioni diverse, hanno lo specifico scopo di spingere il dipendente (designato) alle dimissioni. Per realizzare un clima intollerabile e di alta tensione verso la “vittima designata” si adottano atteggiamenti severi, autoritari, minacce, reiterati rimproveri, ai limiti della legalità...   

... Ad usare per la prima volta il termine mobbing fu l’etologo Konrad Lorenz nel 1961, con l’intento di indicare comportamenti di attacco usati da animali della stessa specie per escludere un membro dal gruppo. Si deve a Leymann (1990) il trasferimento del termine mobbing ai contesti di lavoro per indicare una forma di terrorismo psicologico.

Generalmente il mobber si caratterizza per comportamenti impulsivi, ostentata sicurezza di sé, aggressività, carenza di empatia e di competenza sociale si avvale della complicità di colleghi compiacenti. Le sue motivazioni, vere o false che siano, nascono quasi sempre da insicurezze, invidia, paura di perdere la propria posizione. Alla base di comportamenti mobbizzanti ci sono forti ansie di carriera tali da “giustificare” la eliminazione di qualunque ostacolo, fosse anche una persona, che rallenti oppure ostacoli la scalata verso il successo. Secondo Walter (1993) i mobbers sono persone che tra due alternative di comportamento scelgono quella più aggressiva, eliminare ogni ostacolo, e non solo non mostrano mai sensi di colpa, ma anzi sono convinti di fare qualcosa di buono: convinti di aver reagito a provocazioni  o ad attacchi subiti, sono scarsamente consapevoli delle conseguenze devastanti che il mobbing ha sulla vittima.

Walter interpreta il mobbing come una perversione patologica della competitività che manda il sistema produttivo in corto circuito, poiché la vittima del mobbing alla fine lavorerà poco e male, si assenterà frequentemente diventando così un peso per tutta l’azienda; inoltre il mobbing riduce la collaborazione e la comunicazione tra i dipendenti, elimina pertanto lo spirito di gruppo, elemento fondamentale della produttività.

Cercare di prevenire il mobbing sembra proprio il mezzo più efficace per evitarlo e ciò è possibile attraverso una adeguata formazione sia a livello aziendale che a livello sociale.

Sono convinta che spesso il mobber non sia un “cattivo”, e spesso non è neanche cosciente, solo che è stato completamente plagiato ed ha perso la cognizione di essere un uomo tra uomini.

Il filosofo svizzero Henry Frederich Amiel ha affermato: colui che si lascia trascinare dalla corrente, che non si impone di seguire principi più alti, che non ha ideali od opinioni è una sorta di elemento di arredo del mondo, un essere passivo anziché vitale e attivo, una eco anziché una voce (un quaquaraquà come direbbe il mio conterraneo Leonardo Sciascia).

 Ed ecco allora la necessità di riintrodurre il soggetto(6): ecco un improcrastinabile imperativo per l'economia! Il soggetto inteso come individuo e come comunità ai suoi vari livelli: da quello primario della famiglia, alle forme più elementari di comunità civile per passare a quelle nazionali e giungere fino all'organizzazione di una qualche forma di governo mondiale.

 

3) Il binomio “Etica e Affari”

Gran parte di questo paragrafo  raccoglie passi tratti dal libro di John Maxwell Etica e Affari (2)

 In America e nel resto del mondo sono sempre di più le persone disgustate per il degrado morale: si sentono sopraffatte dalla disonestà e da comportamenti del tutto privi di etica, alcuni credono che comportamenti etici e comportamenti vincenti siano in alternativa.

 Nella Prefazione al suo libro Etica e Affari pubblicato nel 2006 da Sperling Kupfer, l’autore John Maxwell racconta che quando l’amministratore delegato di AOL Lawrence  Kirsbaum gli chiese di scrivere un libro sull’Etica del Business gli rispose: “Non esiste, non esiste un’etica del business, esiste una sola etica. La gente tende a seguire valori diversi a seconda che si tratti della propria vita professionale, spirituale, familiare e questo provoca un sacco di problemi. Se si vuole vivere in modo etico il valore da applicare in ogni ambito della propria esistenza è uno ed uno solo.”

 Un comportamento etico nelle relazioni di affari, come nelle relazioni sociali, familiari etc parte dal rispetto per gli altri, dalla interiorizzazione del concetto (presente nella stragrande maggioranza di culture e religioni): “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.   

 Cristianesimo: tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi fatelo voi a loro

 ISLAM: nessuno è un vero fedele fintanto che non desidera per il proprio simile ciò che vorrebbe per se

 Giudaismo: non fare al tuo simile ciò che non vorresti fosse fatto a te questa è l’unica legge tutto il resto non conta

Buddismo: non recare dolore agli altri con ciò che reca pena a te

Induismo: questo è il sommo dovere non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te

Dottrina di Zoroastro: non fare agli altri ciò che risulterebbe sgradevole a te

Confucianesimo: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te

Dottrina di Bahai:  se i tuoi occhi sono rivolti verso la giustizia scegli per il tuo simile ciò che sceglieresti per te

Giainismo: bisognerebbe chiedersi se trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati da loro

Proverbio Yoruba (Nigeria): colui che sta per colpire un uccellino con un bastoncino appuntito dovrebbe colpire se stesso per capire quanto sia crudele

E’ evidente che la regola Aurea supera le barriere culturali e religiose e impone una risposta alla domanda: come vorresti essere trattato in questa situazione?

Per fortuna nel mondo degli affari si registra un crescente desiderio di comportamenti etici, ma non è sufficiente auspicare onestà e comportamenti etici per vincere la battaglia etica: le aziende stanno ingaggiando società che organizzano corsi di etica ma purtroppo il più delle volte l’obiettivo di queste azienda non è quello di rendere i propri comportamenti più conformi all’etica, ma si tratta piuttosto di evitare sanzioni, addirittura molte aziende hanno rinunciato a capire cosa sia etico e scelgono di muoversi verificando solo di essere nei limiti della legalità. Il risultato è il fallimento morale.

Secondo l’Ethic Resource center di Washington le aziende che si sono imposte di agire in modo etico, che si assumono l’impegno stringente in termini di responsabilità sociale e agiscono di conseguenza risultano più redditizie di quelle che non lo fanno. Etica e competenza formano un’accoppiata vincente: l’etica in azione produce effetti tangibili quali un turn over più basso, un numero ancora inferiore di rivendicazioni sindacali e la pressoché totale scomparsa di qualsiasi forma di vessazione.

Se si parla con individui diversi per età sesso, razza, nazionalità si scopre che tutti hanno qualcosa in comune: sentirsi stimati. In America oggi il 70% delle persone che lasciano il lavoro lo fanno perché non si sentono stimate, questo è una atto di denuncia circa il modo in cui molti uomini d’affari trattano i loro dipendenti.

Condividendo completamente le affermazioni di John Maxwell mi sembra pertinente riportare l’osservazione di Kay Keeshan Hamod: Oggi giorno insistiamo affinché le donne siano trattate esattamente come gli uomini. Ma siamo certe di voler esser trattate come la maggior parte degli uomini nella nostra società, o forse entrambi i sessi meriterebbero qualcosa di  meglio?

 

Serve una nuova classe di leader (uomini e donne): AZIONI

Dalle riflessioni appena condivise e che riepilogo:

a)      L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti

b)      Il rapporto tra azienda, economia e valori sociali: il fenomeno del mobbing

c)      Il binomio Etica e Affari

emerge l’esigenza di impegnarsi a ricercare vere leader affinché possano costruire un network che le rafforzi nell’esercizio delle loro attività e possano trasmettere ai leader del futuro i sani principi di gestione delle aziende e dei loro lavoratori.

Cominciamo con le donne. Fin dal 1988, nella Lettera apostolica “Mulieris dignitatem” Il Papa Giovanni Paolo II scriveva:  nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l'uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la sensibilità per l'uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo!

In una situazione difficile come quella di cui abbiamo parlato, mi da particolare fiducia anche il passo tratto dalla “Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel Mondo” del 2004 che fa riferimento alla intuizione profonda che la donna ha di se <collegata> alla sua capacità fisica di dare la vita. Vissuta  e potenziale tale capacità è una realtà che struttura la capacità femminile in profondità, le consente di acquisire molto presto maturità, senso della gravità della vita e della responsabilità che esso implica. Sviluppa in lei  il senso e il rispetto del concreto che si oppone ad astrazioni spesso letali per l’esistenza degli individui  e della società. È essa infine che anche nelle situazioni più disperate possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso tenace del  futuro.

Il Progetto LEALMENTE : il tema e le fasi del progetto

Abbiamo individuato il Mentoring come uno strumento importante per:

1) Far si che le giovani (e meno giovani) di talento prendano coscienza della necessità del loro contributo in azienda per migliorare il mondo del lavoro,

2) Aiutarle a potenziare le proprie capacità manageriali, prerequisito “tecnico” per acquisire potere e credibilità,

3) Supportarle a perseguire un nuovo modello di leadership per una società migliore.

Il nostro progetto di mentoring vuole prendere direttamente in carico, i punti 1 e 3 e appoggiarsi sulle iniziative attualmente sperimentate da altre istituzioni pubbliche e private per il punto 2.

 

Segue una sintesi delle attività, dei fattori critici di successo e delle modalità con le quali andremo ad affrontare il progetto:

1) formare i Mentor

2) lanciare un progetto pilota  Mentor - mentee

Sviluppo del progetto:

  • fasi preliminari:
    • condivisione del tema
    • selezione del gruppo di lavoro e del project leader
  • sviluppo del piano di progetto
    • identificazione di visione, obiettivi e strategia
    • definizione di fasi, piano di azione e tempistica
    • identificazione di sponsor e  partner
    • documentazione del progetto
    • selezione dei mentor e dei mentee
    • definizione delle modalità operative
  • formazione dei mentor
  • implementazione del progetto
  • documentazione dei risultati
  • condivisione delle esperienze
  • estensione del progetto ad altre donne e …uomini

 L’esperienza insegna che fattori critici di successo per i progetti di mentoring sono:

-         chiara esplicitazione e documentazione degli obiettivi

-         disponibilità di una direzione di progetto con un ufficio professionale dedicato che assicuri il coordinamento del progetto a cominciare dalla sua pubblicizzazione, la formazione dei mentor, l’abbinamento delle coppie mentor-mentee, la ricerca dei fondi, l’organizzazione degli eventi di approfondimento,  la replicabilità e la diffusione del progetto

-         monitoraggio e valutazione dei risultati intermedi.

 

Di fronte alle difficoltà che sicuramente dovremo superare per la realizzazione del “sogno” di una nuova leadership del terzo millennio e in chiusura di questo mio intervento, formulo a tutte gli auguri di successo per tutti i nostri progetti condividendo con voi l’affermazione dell’architetto Giò Ponti “Nulla si è mai avverato che non fosse prima sognato”.

 

   

Note - Bibliografia e sitografia  

(1)  John Maxwell - Le 21 qualità indispensabili di un leader - 2002 - Fazi editore 

(2)  John Maxwell - Etica & affari – 2006 - Sperling & Kupfer

(3) www.bpw-international.org/services/bpw-services-mentoring.htm

(4) www.womensmentoring.com.au

(5) Robert I. Sutton - Il metodo antistronzi - Come creare un ambiente di lavoro più civile e sopravvivere se il tuo non lo è Ed Ellint 2007

(6) Angelo Scola - Teologia, Etica e affari - La business ethic: un novum nel rapporto economia/etica? in  Studi Perugini gennaio-giugno 2000

(7) Costanzo V. Timpanaro G. Proietti L. - Università degli studi di Catania – Mobbing e problematiche relative al suo riconoscimento come patologia professionale in “Formazione Psichiatrica” gennaio-giugno 2007

 (8) Fogliani T.M., Paci R., Falcidia G., Fogliani A.M. - Università degli studi di Catania - Quando lavorare diventa impossibile “riflessioni sul mobbing” in  “Formazione Psichiatrica” gennaio-giugno 2007

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