Etica ed affari: binomio inscindibile per
lo sviluppo socio-economico del Paese Progetto LEALMENTE
Leadership
Etica
Affari:
un Lavoro di Mentoring
per l’Eccellenza
di Daniela
Troina Magrì
L’intervento di Daniela Troina Magrì al convegno sulla leadership organizzato dalla FIDAPA -distretto Centro- Fondi 22 Settembre 2007 è stato pubblicato sul sito internet www.danielatroina.it il 28-09-07 (Saluti e ringraziamenti iniziali) La crisi dei valori che
riguarda una parte rilevante del management responsabile del sistema
economico del Paese richiede una nuova leadership e l'intervento attivo di
donne capaci e competenti. La loro formazione, motivazione e attivazione
passa anche attraverso un pervasivo programma di mentoring del quale la
nostra associazione, Presentiamo oggi il progetto LEALMENTE, che prende le mosse dalla convinzione che Etica ed Affari siano un binomio inscindibile per lo sviluppo socio-economico del Paese, certe di poter far leva sulle peculiarità della realtà italiana della BPW caratterizzata dalla lunga e consolidata tradizione associativa e dalla ricchezza delle esperienze rappresentate da donne impegnate nei più diversi campi della vita economica e sociale del Paese. Accanto agli interventi di formazione e mentoring, tesi a potenziare le capacità manageriali e gestionali che sono già stati avviati da più soggetti, riteniamo indispensabile un’azione nuova e concreta sulla leadership, termine molto utilizzato in azienda ma nella pratica spesso confuso con management. LEALMENTE è l’acronimo di Leadership Etica Affari: un Lavoro di Mentoring per l’Eccellenza. La leadership
La signora mi raccontò di essere caporeparto in una piccola fabbrica che produceva componenti per calzature e di aver appena telefonato alle quattro operaie del suo gruppo per comunicare loro la notizia che la televisione avrebbe ripreso e poi mandato in onda una importante sfilata di moda (se non ricordo male quella di Trinità dei Monti a Roma) nella quale le modelle avrebbero indossato le scarpe di un famoso stilista al quale la loro fabbrica forniva le tomaie. L’entusiasmo e la passione con la quale mi spiegava il livello di qualità da loro raggiunto, il modo in cui mi lasciava intendere l’affiatamento del gruppo come prerequisito per raggiungere livelli di efficienza richiesti, il brillare dei suoi occhi mi impressionarono molto. Avevo scoperto che quella signora di mezza età, sicuramente non laureata, era una vera leader. Il Mentoring Siamo molto fiere delle
attività svolte dalla nostra associazione sulla leadership ed in
particolare di quelle che "Each
Woman, as a Citizen, must bring to the national policy of her own country,
the contribution of forward-looking and constructive thought followed by
determined action. Each Woman must dedicate herself to protect and promote
the interests of all other women in business and the professions." “Ogni
Donna come Cittadina deve apportare alle
strategie del proprio Paese il contributo di visione e idee costruttive
seguite da azioni determinate. Ogni Donna deve dedicarsi a proteggere e
promuovere gli interessi di altre donne negli affari e nelle
professioni.” Che cos’è il Mentoring – la mia esperienza personale come mentee e
come mentor Ma che cosa è il mentoring? E’ un programma nell’ambito del quale un individuo fornisce supporto incoraggiamento e guida ad un altro sulla base della propria conoscenza ed esperienza professionale e personale con riferimento al tema di mentoring prescelto. Ed il mentoring è stato anche uno dei cinque progetti orientati a sviluppare la leadership femminile, che ho contribuito ad avviare in IBM Europa, in qualità di Presidente dello "European Women Leadership Council" nel 1996, anno della sua fondazione. Tra le coppie famose di mentor/mentee una delle più celebri è certamente Aristotele e Alessandro Magno. Vi deve essere una naturale affinità tra il mentoring ed il mentee e le persone che scelgono di diventare mentor devono avere passione per questa attività. Questa passione comprende fra l’altro il desiderio da parte del mentor di sviluppare i leader del futuro. Il mentor deve avere la capacità di ascoltare e consigliare, di fornire sostegno, guida e incoraggiamento e punti di vista indipendenti. Per un mentor trovare il tempo di lavorare con le persone è sempre una sfida ed ecco che è proprio la passione di aiutare gli altri che entra in gioco. Ciascun mentor può avere una sua metodologia per aiutare ed incoraggiare lo sviluppo professionale del mentee, ma certamente caratteristiche comuni dei mentor dovrebbero essere:
Ci possono essere due tipi di relazioni di mentoring: formale ed informale. Le relazioni informali sono sviluppate tra le due parti indipendentemente; un programma di mentoring formale, invece, fa riferimento a ben precisi piani in cui si formalizzano gli obiettivi, la tempistica, e che prevedono programmi di formazione e di valutazione del processo. Il mentor non è un capo diretto né ha un ruolo organizzativo di supervisore e il fatto che il suo ruolo non sia, per definizione, valutativo consente una modalità di scambio libero, propositivo e pertanto molto più efficace. Il mentor non deve dire al mentee cosa fare o prendere delle decisioni in sua vece, l’essenza del mentoring è fornire e discutere alternative. E’ poi il mentee a scegliere la migliore alternativa disponibile.
Benefici per il mentee:
Benefici per le organizzazioni:
Il progetto della FIDAPA Distretto
Centro: la nuova leadership in azienda 1 L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti 2 Il rapporto tra azienda, economia e valori sociali: la diffusione del fenomeno del mobbing 3 Il binomio Etica e Affari
1) L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti Le statistiche dicono che le donne raramente raggiungono posizioni di alto livello, nonostante negli ultimi 20 anni siano entrate nel mondo del lavoro un numero elevatissimo di laureate eccellenti. Le analisi svolte da consulenti ed addetti ai lavori finiscono per attribuire alla “logistica” e ai pregiudizi degli uomini la colpa di questa situazione. Non vi è dubbio che la mancanza di tempo, l’enorme carico di responsabilità extralavorative che la donna si assume, le necessità familiari, le carenze di strutture di supporto, il perpetuarsi di una cultura manageriale che privilegia le caratteristiche maschili costituiscano un serio ostacolo alla crescita manageriale delle donne ma io credo che, oggi, le motivazioni che stanno alla base di questa progressiva riduzione della presenza femminile man mano che si progredisce lungo la piramide organizzativa, siano più profonde. A fronte dell’evidente
impoverimento etico e intellettuale in cui versa un cospicuo numero di
manager, c’è secondo me, da parte di persone intelligenti, capaci e
sensibili, il rifiuto e il disgusto di fare delle cose ritenute inutili,
se non addirittura controproducenti, di
sprecare il proprio tempo, altrimenti produttivamente utilizzabile per la
cura della famiglia, dei figli, degli anziani, dei vicini. Non è solo una
questione di trovare il tempo.
Sappiamo tutte che, volendo, riusciamo ad organizzarci, c’è invece il
rifiuto di prostituirsi intellettualmente, il desiderio di evitare
riunioni serali non sempre rivolte alla risoluzione di problemi ma miranti
a confortare o, peggio, adulare un capo insicuro, il rifiuto di trovarsi
in situazioni ambigue o di essere costrette a prendere decisioni non
etiche. Un interessante contributo alla comprensione degli ostacoli
incontrati dalle donne nel loro percorso di crescita manageriale è stato
fornito, tramite il Progetto
Brave, dalla Fondazione Marisa Bellisario che ha coperto nel periodo luglio-dicembre 2005 un ampio campione di donne che
nell’ambito del proprio iter lavorativo sono riuscite a raggiungere
livelli di eccellenza nell’organizzazione cui appartengono.
C’è anche un dato interessante e, secondo me sottovalutato, che
emerge dalla ricerca. Alla domanda se le donne avessero la stessa
capacità di lobbying degli uomini il 61% risponde si ed il 39% no.
Approfondendo il tema, si scopre che solo il 23% risponde perché
hanno meno tempo, mentre ben il 41% perché
hanno meno interesse, ed il 35% è raggruppano nella voce per
un pregiudizio culturale. Io attribuisco una parte di questa automatica deselezione al “principio di Leonardo da Vinci” saggiamente enunciato dal Prof. Sutton dell’Università di Stanford in un libro appena uscito in Italia dal titolo un po’ forte, ma molto incisivo: “Il metodo Antistronzi”(5). L’autore invita chi si trovasse nella situazione di decidere se accettare o meno un incarico in un azienda governata da manager poco raccomandabili, a non mischiarsi con gli stronzi perché, secondo il principio di Leonardo, “E’ più facile resistere all’inizio che alla fine”. E, mentre mette in guardia contro questi personaggi che in molte aziende tendono a prolificare come conigli, avverte il lettore del loro costo aziendale specialmente quando occupano posizioni apicali dalle quali credono di poter trattare gli altri con disprezzo o peggio ancora, essere elogiati e premiati per questo, lo fa citando numeri e statistiche. Secondo numerose ricerche, infatti, il loro comportamento aggressivo ed umiliante demotiva i collaboratori, sgretola l’affiatamento del gruppo, causa l’aumento del turnover e dell’assenteismo, provocando danni enormi non solo alle vittime ma anche alle strutture in cui operano. Le interazioni negative, per esempio, hanno un effetto cinque volte superiore sull’umore di una persona di quelle positive. L’autore conclude con un
invito all’azione: Il succo di
questo libro è molto semplice: il tempo a nostra disposizione su questa
terra è molto limitato. Non sarebbe splendido trascorrere la vita senza
dover incontrare qualcuno che ti mortifica con i suoi commenti e le sue
azioni? Questo libro ha l’obiettivo di estirpare questa malapianta e di
far capire a questa gente che così priva il prossimo della sua autostima
e della sua dignità. Se non ne potete più di lavorare a Bastardopoli e
se non vi va più di passeggiare sul Viale degli Stronzi, beh, allora
impegnatevi a contribuire ad un clima lavorativo civile. Certo lo sapete
già. Ma non è arrivato il momento
di fare qualcosa a riguardo? Io ritengo di si. Mi
conforta, tra l’altro, l’arguta osservazione dell’attuale Direttore
Generale della Luiss, Pier Luigi Celli, che nella prefazione al libro
scrive: Gli stronzi non hanno paura di niente, tranne che della dignità. Anche
gli stronzi hanno un lato debole: alla lunga si decompongono. Basta
lasciarli esposti. La chimica è una grande alleata, sporca ma anche
ripulisce il mondo.
Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato:
benefici e limiti Peraltro rilevo che ci sono molte più donne impegnate anche a livelli dirigenziali nel volontariato piuttosto che nel privato. Perchè? Sono ragionevolmente certa che la risposta stia nel fatto che, così facendo, le donne pensano di contribuire di più e di servire meglio la società. Come ho avuto modo di osservare in occasione della tavola rotonda organizzata qualche tempo fa dalla Fondazione Bellisario nel XV anniversario della morte di Marisa Bellisario, le donne hanno storicamente privilegiato le professioni di “servizio” alla società, penso all’assistenza sanitaria, all’insegnamento: la percentuale di donne infermiere, medico, insegnanti e’ sempre stata elevatissima. In quella occasione, pensando al mio impegno manageriale ed al significato economico-sociale che ad esso attribuivo e, facendo un parallelo con le attività delle nostre mamme e nonne, avevo prospettato la visione di una managerialità al servizio della società (includendo in questo termine certamente il datore di lavoro in senso stretto, ma anche gli impiegati e il territorio di riferimento). Forse i tempi non erano allora ancora maturi, ma l’attuale situazione di degrado così brillantemente ed efficacemente delineata dagli addetti ai lavori nelle pubblicazioni citate ed in numerose altre (ad alcune delle quali farò riferimento in seguito), chiamano a raccolta le migliori energie del Paese. Ho una grandissima ammirazione per le persone che fanno attività di volontariato perchè svolgono, tra mille difficoltà, un servizio molto utile in tante situazioni di disagio presenti nella società, credo però che alcune di queste energie potrebbero più efficacemente, essere convogliate su azioni, per così dire, preventive. Mi è capitato, per esempio, di andare in Ospedale e vedere delle efficientissime signore della Croce Rossa assistere i pazienti, facilitare le operazioni logistiche e lavorare alacremente per colmare i buchi organizzativi della struttura sanitaria e di essere rimasta impressionata dalla capacità organizzativa e dalla serena leadership che aleggiava intorno a loro. All’auspicio di vedere aumentare l’adesione a tale iniziative si è immediatamente sostituito in me il rammarico che qualcuna di quelle signore non avesse per tempo deciso di intraprendere una carriera per diventare Direttore Sanitario o Direttore Generale dell’Ospedale; così pure quando vedo il lavoro svolto da bravissimi volontari della Caritas mi chiedo se non sarebbe opportuno cominciare a formare qualcuno di loro a diventare un politico o amministratore pubblico. Io credo che le persone che si dedicano al Volontariato per coprire le carenze croniche del sistema produttivo, dovrebbero ripensare alla loro attività ed al loro impegno sociale cercando di capire che il livello di servizio che potrebbero offrire alla società sarebbe molto più elevato se si attivassero su un percorso di crescita professionale che li potesse portare ad assumere responsabilità gestionali e manageriali attraverso le quali risolvere alcuni di questi annosi problemi alla radice. Penso che una società che si affida al volontariato per risolvere i propri problemi strutturali, trascurando di avviare politiche e progetti per la risoluzione di questi problemi, sia una società incivile, ne più ne meno di una società che usa il precariato per svolgere, su base continuativa, attività portanti per la sua missione istituzionale. Ed allora ecco che, ritornando al tema del nostro progetto di Mentoring, è importante spiegare a tutte le persone dotate di talento che, come dice John Maxwell (2): Il potere in se è neutrale come il danaro. E’ uno strumento che può essere usato bene o male. Uno dei guai legati al potere è che le persone che lo detengono (spesso) considerano il suo mantenimento la cosa più importante non capiscono che gli è stato dato perché lo rendessero un servizio (e generano così delle errate convinzioni negli altri sul rapporto potere, economia e valori sociali). 2) Il rapporto tra azienda, economia e
valori sociali : il fenomeno del mobbing Personalmente ritengo che l’obiettivo principale di un Azienda nazionale o multinazionale debba essere quello di creare valore attraverso la produzione di un profitto che, oltre che retribuire gli azionisti, dovrebbe essere reinvestito nel territorio che l’ha generato per creare servizi efficienti, nuova occupazione, ricchezza e qualità di vita. Do per acquisiti, come patrimonio aziendale e personale, anche se non sempre è così, gli indispensabili strumenti di governance, controllo e compliance, e mi soffermo qui più sul tema che definirei umanistico del nostro progetto di mentoring. C’è la necessità di chiarire ai futuri leader gli obiettivi strategici e le sane potenzialità del profitto. Talvolta, oggi, assistiamo
ad enunciazioni di responsabilità Sociale d’impresa o CSR
e, per fortuna, come notava in un suo intervento
S.E. Angelo Scola Rettore Magnifico della Pontificia Università
Lateranense(6):
l'etica è chiamata in causa dall'economia in vista della sua stessa
efficienza. Tralasciamo, per un momento, di chiederci se questo appello
sia solo interessato e non domandiamoci neppure se esso sia adeguato, per
limitarci ad esaminare brevemente, da un puro punto di vista empirico
descrittivo, la relazione etica/economia. Tradizionalmente, le aziende hanno risposto a problemi di tipo etico o,
più genericamente, di responsabilità sociale, seguendo quattro linee. a) Con l'attenzione alle relazioni interne all'azienda; l'attenzione al
personale, alle relazioni umane intra‑aziendali, considerate come un
patrimonio dell'azienda oltre che come un dovere dell'imprenditore. Si va
dalla classica scuola delle human
relations (Mayo) degli anni '40‑' b) Con la cura di certi obiettivi sociali cui l'impresa può
direttamente rispondere (risolvere la disoccupazione attraverso
comportamenti che ne favoriscono la tenuta in periodi di crisi): è questo
un obiettivo postbellico; prima della guerra un fenomeno analogo era
quello delle imprese che curavano certi servizi per le famiglie dei
lavoratori (casa, colonia dei bambini, ecc.); con l'attenzione a obiettivi
sociali condivisi (cultura, formazione, ricerca) attraverso lo strumento
delle fondazioni: oggi in Italia, il sistema bancario ‑ in
particolare quello evolutosi dal mondo cooperativo ‑ usa moltissimo
questo strumento che riversa nel sociale parte dei profitti; con
l'attenzione a non creare o ad aiutare a risolvere problemi di esternalità
associati al funzionamento delle stesse imprese, come i problemi
ambientali in particolare. c) Con l'assunzione di obiettivi aziendali che "vincolano" i
profitti ad un utilizzo per particolari bisogni (formazione di uomini) o
per il bene comune. d) Impiegando imprenditorialità direttamente nella produzione di beni
collettivi e servizi sociali, attraverso strumenti come quello delle
organizzazioni non profit. Non si può dire che tali linee di lavoro non abbiano dato risultati; anzi è proprio la loro presenza, quando non sia sporadica, a segnare il crinale fra un capitalismo che taluni chiamerebbero "selvaggio" e un capitalismo sociale. Tuttavia, tali linee sono spesso fragili. Di fronte a crisi, problemi di ristrutturazione e, soprattutto, di fronte agli imperativi della concorrenza, questi obiettivi si rivelano spesso come marginali, i primi ad essere sacrificati per garantire il buon funzionamento dell'impresa come tale. (specie nelle multinazionali) Secondo Linda Trevino (2)
le infrazioni all’etica spesso
sono il frutto della cultura aziendale o della pressione del management
quando l’azienda si scopre incapace di tener fede alle previsioni ed
alle aspettative e cerca di adattare le regole alla situazione. E così si spiega il
fenomeno del mobbing che
è una delle piaghe più dilaganti nel mondo del lavoro, basta parlarne
con gli addetti ai lavori sul fronte psichiatrico. Costanzo V. Timpanaro
G. Proietti L. in una recente pubblicazione (7)
ci ricordano che secondo le statistiche dell’European Foundation for the
Improvement of Living and Working condition nel 1996-97 il mobbing
coinvolgeva in Italia circa 800.000 – 1.000.000 di persone. Negli ultimi
anni è in incremento per motivazioni di carattere macroeconomico
(globalizzazioni, fusioni, recessioni ecc.), per il cambiamento
delle tipologie di lavoro e dei correlati rischi lavorativi, e per la
mancanza di una normativa giuridica specifica tutelante. Secondo i
dati ufficiali, in Italia, oggi oltre un milione e mezzo di lavoratori è
colpito da azioni di mobbing. Si
tratta di una vera e propria emergenza sociale. Al numero relativo ai
lavoratori vittime di azioni di mobbing andrebbe aggiunto quello relativo
alle altre persone coinvolte dal fenomeno (amici, parenti, colleghi) che
farebbe salire la cifra a circa 5 milioni di persone ed è
più diffuso nella grande impresa. Fogliani T.M., Paci R.,
Falcidia G., Fogliani A.M. dell’Università degli studi di Catania nel
loro studio: Quando lavorare diventa impossibile “riflessioni sul
mobbing” appena pubblicato sulla rivista “Formazione Psichiatrica”(8)
riportano una disanima degli studi italiani sul fenomeno mobbing dalla quale
risulta che in Italia le denunce sono numerose nelle strutture ad alta
competitività. Le persone più colpite sono manager, dirigenti e quadri
ed i lavoratori con una scolarità medio alta. Il bossing è un particolare mobbing praticato da boss che, con
motivazioni diverse, hanno lo specifico scopo di spingere il dipendente
(designato) alle dimissioni. Per realizzare un clima intollerabile e di
alta tensione verso la “vittima designata” si adottano atteggiamenti
severi, autoritari, minacce, reiterati rimproveri, ai limiti della legalità... ... Ad usare per la prima volta il termine mobbing fu l’etologo Konrad
Lorenz nel 1961, con l’intento di indicare comportamenti di attacco
usati da animali della stessa specie per escludere un membro dal gruppo.
Si deve a Leymann (1990) il trasferimento del termine mobbing ai contesti
di lavoro per indicare una forma di terrorismo psicologico. Generalmente il mobber si caratterizza per comportamenti impulsivi,
ostentata sicurezza di sé, aggressività, carenza di empatia e di
competenza sociale si avvale della complicità di colleghi compiacenti. Le
sue motivazioni, vere o false che siano, nascono quasi sempre da
insicurezze, invidia, paura di perdere la propria posizione. Alla base di
comportamenti mobbizzanti ci sono forti ansie di carriera tali da
“giustificare” la eliminazione di qualunque ostacolo, fosse anche una
persona, che rallenti oppure ostacoli la scalata verso il successo.
Secondo Walter (1993) i mobbers sono persone che tra due alternative di
comportamento scelgono quella più aggressiva, eliminare ogni ostacolo, e
non solo non mostrano mai sensi di colpa, ma anzi sono convinti di fare
qualcosa di buono: convinti di aver reagito a provocazioni
o ad attacchi subiti, sono scarsamente consapevoli delle
conseguenze devastanti che il mobbing ha sulla vittima. Walter interpreta il mobbing come una perversione patologica della
competitività che manda il sistema produttivo in corto circuito, poiché
la vittima del mobbing alla fine lavorerà poco e male, si assenterà
frequentemente diventando così un peso per tutta l’azienda; inoltre il
mobbing riduce la collaborazione e la comunicazione tra i dipendenti,
elimina pertanto lo spirito di gruppo, elemento fondamentale della
produttività. Cercare di prevenire il mobbing sembra proprio il mezzo più efficace per evitarlo e ciò è possibile attraverso una adeguata formazione sia a livello aziendale che a livello sociale. Sono convinta che spesso il mobber non sia un “cattivo”, e spesso non è neanche cosciente, solo che è stato completamente plagiato ed ha perso la cognizione di essere un uomo tra uomini. Il filosofo svizzero Henry Frederich Amiel ha affermato: colui che si lascia trascinare dalla corrente, che non si impone di seguire principi più alti, che non ha ideali od opinioni è una sorta di elemento di arredo del mondo, un essere passivo anziché vitale e attivo, una eco anziché una voce (un quaquaraquà come direbbe il mio conterraneo Leonardo Sciascia). 3)
Il binomio “Etica e Affari”
Gran
parte di questo paragrafo raccoglie
passi tratti dal libro di John Maxwell Etica e Affari (2)
Buddismo: non recare dolore agli altri con ciò che reca pena a te Induismo: questo è il sommo dovere non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te Dottrina di Zoroastro: non fare agli altri ciò che risulterebbe sgradevole a te Confucianesimo: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te Dottrina di Bahai: se i tuoi occhi sono rivolti verso la giustizia scegli per il tuo simile ciò che sceglieresti per te Giainismo: bisognerebbe chiedersi se trattiamo gli altri come vorremmo essere trattati da loro Proverbio Yoruba (Nigeria): colui che sta per colpire un uccellino con un bastoncino appuntito dovrebbe colpire se stesso per capire quanto sia crudele E’ evidente che la regola Aurea supera le barriere culturali e religiose e impone una risposta alla domanda: come vorresti essere trattato in questa situazione? Per fortuna nel mondo degli affari si registra un crescente desiderio di comportamenti etici, ma non è sufficiente auspicare onestà e comportamenti etici per vincere la battaglia etica: le aziende stanno ingaggiando società che organizzano corsi di etica ma purtroppo il più delle volte l’obiettivo di queste azienda non è quello di rendere i propri comportamenti più conformi all’etica, ma si tratta piuttosto di evitare sanzioni, addirittura molte aziende hanno rinunciato a capire cosa sia etico e scelgono di muoversi verificando solo di essere nei limiti della legalità. Il risultato è il fallimento morale. Secondo l’Ethic Resource
center di Washington le aziende che si sono imposte di agire in modo
etico, che si assumono l’impegno stringente in termini di responsabilità
sociale e agiscono di conseguenza risultano più redditizie di quelle che
non lo fanno. Etica e competenza formano un’accoppiata vincente:
l’etica in azione produce effetti tangibili quali un turn over più
basso, un numero ancora inferiore di rivendicazioni sindacali e la
pressoché totale scomparsa di qualsiasi forma di vessazione. Se si parla con individui diversi per età sesso, razza, nazionalità si scopre che tutti hanno qualcosa in comune: sentirsi stimati. In America oggi il 70% delle persone che lasciano il lavoro lo fanno perché non si sentono stimate, questo è una atto di denuncia circa il modo in cui molti uomini d’affari trattano i loro dipendenti. Condividendo completamente
le affermazioni di John Maxwell mi sembra pertinente riportare
l’osservazione di Kay Keeshan Hamod: Oggi
giorno insistiamo affinché le donne siano trattate esattamente come gli
uomini. Ma siamo certe di voler esser trattate come la maggior parte degli
uomini nella nostra società, o forse entrambi i sessi meriterebbero
qualcosa di meglio? Serve
una nuova classe di leader (uomini e donne): AZIONI Dalle riflessioni appena condivise e che
riepilogo: a) L’impegno femminile nel mondo del lavoro. Propensione delle donne per le attività di servizio e di volontariato: benefici e limiti b) Il rapporto tra azienda, economia e valori sociali: il fenomeno del mobbing c) Il binomio Etica e Affari emerge l’esigenza di impegnarsi a ricercare vere leader affinché possano costruire un network che le rafforzi nell’esercizio delle loro attività e possano trasmettere ai leader del futuro i sani principi di gestione delle aziende e dei loro lavoratori. Cominciamo
con le donne. Fin dal 1988, nella Lettera apostolica “Mulieris
dignitatem” Il Papa Giovanni Paolo II scriveva:
nella nostra epoca i successi
della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora
sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce
altri all'emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può
comportare anche una graduale scomparsa
della sensibilità per l'uomo, per ciò che
è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri
giorni attendono la
manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la
sensibilità per l'uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo! In una situazione difficile come quella di
cui abbiamo parlato, mi da particolare fiducia anche il passo tratto dalla
“Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione
dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel Mondo” del 2004 che fa
riferimento alla intuizione profonda che la donna ha di se <collegata> alla sua
capacità fisica di dare la vita. Vissuta
e potenziale tale capacità è una realtà che struttura la capacità
femminile in profondità, le consente di acquisire molto presto maturità,
senso della gravità della vita e della responsabilità che esso implica.
Sviluppa in lei il senso e il
rispetto del concreto che si oppone ad astrazioni spesso letali per
l’esistenza degli individui e
della società. È essa infine che anche nelle situazioni più disperate
possiede una capacità unica di resistere nelle avversità, di rendere la
vita ancora possibile pur in situazioni estreme, di conservare un senso
tenace del futuro. Il Progetto LEALMENTE : il tema e le fasi del progetto Abbiamo individuato il
Mentoring come uno strumento importante per: 1) Far si che le giovani (e meno giovani) di talento prendano coscienza
della necessità del loro contributo in azienda per migliorare il mondo
del lavoro, 2) Aiutarle a potenziare le proprie capacità manageriali, prerequisito
“tecnico” per acquisire potere e credibilità, 3) Supportarle a perseguire un nuovo modello di leadership per una
società migliore. Il nostro progetto di mentoring vuole prendere direttamente in carico, i punti 1 e 3 e appoggiarsi sulle iniziative attualmente sperimentate da altre istituzioni pubbliche e private per il punto 2.
Segue una sintesi delle attività, dei fattori critici di successo e delle modalità con le quali andremo ad affrontare il progetto: 1) formare i Mentor 2) lanciare un progetto
pilota Mentor
- mentee Sviluppo del progetto:
- chiara esplicitazione e documentazione degli obiettivi - disponibilità di una direzione di progetto con un ufficio professionale dedicato che assicuri il coordinamento del progetto a cominciare dalla sua pubblicizzazione, la formazione dei mentor, l’abbinamento delle coppie mentor-mentee, la ricerca dei fondi, l’organizzazione degli eventi di approfondimento, la replicabilità e la diffusione del progetto - monitoraggio e valutazione dei risultati intermedi. Di fronte alle difficoltà che sicuramente
dovremo superare per la realizzazione del “sogno” di una nuova
leadership del terzo millennio e in chiusura di questo mio intervento,
formulo a tutte gli auguri di successo per tutti i nostri progetti
condividendo con voi l’affermazione dell’architetto Giò Ponti “Nulla
si è mai avverato che non fosse prima sognato”. Note - Bibliografia e sitografia (1) John
Maxwell - Le 21 qualità
indispensabili di un leader - 2002 - Fazi editore
(2) John
Maxwell - Etica & affari
– 2006 - Sperling & Kupfer (3)
www.bpw-international.org/services/bpw-services-mentoring.htm (4) www.womensmentoring.com.au (5) Robert I. Sutton - Il metodo antistronzi - Come creare un ambiente di lavoro più civile e sopravvivere se il tuo non lo è Ed Ellint 2007 (6) Angelo Scola - Teologia, Etica e
affari - La business ethic: un novum nel rapporto economia/etica? in Studi
Perugini gennaio-giugno 2000 (7) Costanzo V. Timpanaro
G. Proietti L. - Università degli studi di Catania – Mobbing e
problematiche relative al suo riconoscimento come patologia professionale
in “Formazione Psichiatrica” gennaio-giugno
2007 (8) Fogliani T.M., Paci R., Falcidia G., Fogliani A.M. - Università degli studi di Catania - Quando lavorare diventa impossibile “riflessioni sul mobbing” in “Formazione Psichiatrica” gennaio-giugno 2007 |
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