L’infinito
nel quotidiano di
Padre Renzo Campetella Non è facile parlare
di questo argomento perché quando si parla di quotidiano dobbiamo
parlare di esperienza vissuta, perché proprio il quotidiano diventa la
casa del senso. La grandezza
dell’uomo, l’onore e la gloria dell’uomo, dipendono dal fatto che
quest’uomo è in rapporto con l’infinito. Il desiderio di
infinito ci attrae dentro ad una esperienza vertiginosa in cui sembra
perdersi; tuttavia di fronte a questo desiderio che ci è stato dato e
che fa parte della nostra vita quasi più di noi stessi, mai l’uomo si
rassegna a non desiderare. La congiunzione tra il
trascendente e il quotidiano non può essere che qualcosa di umile, un
fatto umile. Inoltre, questo infinito deve rispondere all’uomo. Esso
non può essere misurato dall’uomo, ma deve riempire la sua ragione e
la sua libertà, altrimenti non serve veramente a nulla, sarebbe come
essere stati fatti male. Certamente in questa
ricerca ciascuno parte dalla sua tradizione: è l’unico modo. Però,
proprio perché parto dalla mia, non posso tacere – seppure con
grandissimo pudore e senza pretendere di insegnare o convertire nessuno
– l’aspetto più misterioso, almeno per me, di questo Infinito, o
l’evento più misterioso che si chiama Gesù Cristo: un uomo che lega
l’infinito alla storia degli altri uomini e che, in fondo, congiunge
storie tanto diverse. Comunque, io spero che l’incontro di oggi aiuti
ciascuno di noi a sentire sia la dignità cui siamo stati chiamati, sia
il pudore di inchinarci verso ciò che, pur essendo più grande di noi,
è dentro la nostra vita. Non posso sottrarmi
all’impressione che il desiderio dell’uomo per l’infinito, e
quindi il mio stesso desiderio d’infinito, sia in qualche modo la
chiave per la mia ricerca personale della felicità nelle sue componenti
di pace, amore, impegno e rapporto con il prossimo. Per lo meno sono
certo che l’assenza di queste componenti è l’infelicità, e quando
penso alla felicità mi sento spinto verso l’infinito. Per gran parte di noi,
in tutto il mondo e per tutta la storia, credo che Infinito sia
un sinonimo di Dio. Nelle opere dell’uomo si riconosce una potenzialità
a lui donata da un essere dai poteri soprannaturali, da un creatore
onnisciente, separato da noi e che, comunque, può essere conosciuto,
che ascolta e che si preoccupa per noi. Questo riconoscimento diventa
fede ed è pressoché universale. La storia dell’umanità può essere
vista come una lotta continua dalle molteplici sfaccettature che ha come
finalità quella di comprendere e definire la natura di questo Essere
divino. Noi siamo consapevoli che Egli esiste al di là della nostra
realtà fisica e dai nostri sensi e lottiamo continuamente per integrare
la Sua esistenza nel tessuto delle nostre vite quotidiane. Alla luce di tutte le
esperienze riscontrabili nella storia culturale di noi esseri umani, si
potrebbe concludere che la ricerca del significato che noi chiamiamo
Dio, ossia dell’Infinito, fa parte della nostra natura, anzi, ne è
proprio il nucleo stesso. Noi siamo creature appartenenti
all’infinito, noi stessi abitiamo l’infinito e l’infinito, a sua
volta, abita in noi. Molti di noi sono nati
con un’idea di Dio, proprio come sono nati in una famiglia, in un
villaggio, in un paese, in una razza, in una classe sociale, in un certo
contesto storico. Questo Dio dei nostri avi esiste dalla nostra nascita,
si ritrova nelle nostre prime parole, nella nostra arte, nelle nostre
canzoni, nei templi che abbiamo costruito, nella legge, nella medicina,
nei nostri nomi e nei nomi delle nostre città. Il nostro Dio è una
figura parentale, che ci conosce, ci guida, ci protegge, ci giudica, ci
ama e ci perdona. La ragione per cui
vediamo un conflitto fra Mistero e universalità è che confondiamo il
Mistero con l’ignoto, perciò ci sentiamo minacciati dalla nozione di
Assoluto, di Trascendenza, di Eternità perché sospettiamo che il
nostro limite di creature legate allo spazio, al tempo e alla storia non
possa sopravvivere a un incontro con tali Entità. In tal modo cerchiamo
di ridurre il Mistero alle nostre dimensioni, di ridurre l’esperienza
religiosa a qualcosa che possiamo controllare. Così facciamo della
nostra capacità di controllo la misura di tutta la realtà Finché il Mistero
viene identificato con l’ignoto, con ciò che sfugge al controllo
razionale, con ciò che non può essere fatto, è comprensibile che una
cultura, incapace di vedere l’universalità al di fuori di tali
categorie, rigetti completamente ogni concetto di una elezione che trae
origine da tale Mistero. Il Mistero è aperto
alla nostra conoscenza, ma non ad una conoscenza razionalistica, è
aperto ad una conoscenza attraverso lo stupore che risponde ad
un’iniziativa del Mistero stesso, stupore davanti alla sua umiltà.
Questo stupore genera un giudizio che rappresenta l’atto più alto e
più sublime della ragione: la ragione abbraccia il Mistero in
un’adorazione amante. Naturalmente, ciò è assolutamente
incomprensibile in una cultura in cui conoscenza è potere, dove prevale
il concetto che è vero quello che vedo e faccio. In tale cultura il
Mistero, considerato nei limiti razionali di ignoto, diventa minaccioso
per coloro che non hanno il potere di soggiogarlo o di abbassarlo per
controllarlo. In quella cultura qualsiasi pretesa di elezione o di
conoscenza di verità assoluta è sicuramente una minaccia alla libertà
dei non eletti. La pretesa di verità non è permessa in questa cultura.
Per quanto concerne l’infinito, o il trascendente, tre sono le
cose che vorrei evidenziare: innanzitutto che non posso parlarne, sono
pochissime le persone che sono state in grado di parlarne con credibilità,
che sono state in grado di descrivere esperienze con Dio, che descrivono
Dio, l’infinito o il trascendente. Ciò di cui possiamo parlare è il
rapporto fra Dio e l’essere umano perché questo rapporto è un dato
di fatto. Se potessi parlare di Dio, significherebbe che io sono Dio,
mentre non lo sono: sono un essere umano. In secondo luogo devo
dire che nessuno, assolutamente nessuno, ha il monopolio
dell’esperienza con Dio. Infine – ed è la terza cosa – negare la
possibilità di questa esperienza di Dio equivale a negare uno degli
elementi fondamentali della nostra natura umana. Siamo abituati alla
routine dell’oggi, ai gesti abituali, ai pensieri che riempiono la
mente di cose da portare a termine, pratiche da sbrigare, gente da
contattare e, anche se ogni tanto ci riposiamo in piccoli sogni, li
rimandiamo sempre all’indomani. C’è una parte
riposta all’interno del cuore umano, tuttavia, che non viene mai
attaccata da ciò che è routinario: è la parte sacra che porta
l’uomo a rispecchiarsi in uno spazio più vasto che lo proietta fuori
da se stesso e lo immerge in quell’infinito che lo congiunge a Dio: è
allora che l’individuo trova il filo della sua esistenza, ne comprende
il valore, assaggia quel sapore di grandezza che lo appaga e lo porta ad
essere veramente se stesso. In questo spazio noi possiamo vivere il
nostro quotidiano con la gioia dell’anima. Quando facciamo degli
incontri che ci lasciano un senso di benessere, quando nell’amicizia
ci sentiamo appagati, quando cerchiamo di mettere a terra un fardello
pesante e, respirando a pieni polmoni, c’inebriamo della vista del
mare, dei suoi colori che cambiano, della bellezza di un tramonto, della
vastità di un cielo stellato, sentiamo che la vita ci appartiene ed è
bello viverla così nel nostro quotidiano. Quando c’immergiamo
nell’arte e ne interpretiamo il messaggio nascosto che fa vibrare le
corde profonde della nostra interiorità, allora, l’infinito abbraccia
la nostra vita e trasforma il presente in una melodia. “La
Canzone del mare” è intitolato il
libro di Daniela Troina Magrì, nessun titolo poteva essere più
appropriato perché il mare canta e le sue note accompagnano il nostro
animo, lo calmano, lo scuotono, lo turbano o lo esaltano in accordo con
il suo canto: è sempre l’infinito che interpella il nostro
quotidiano. Sembra difficile
mettersi in sintonia con questo infinito che, come una calamita, ci
attrae per farci godere di un benessere profondo, ma non lo è: basta
liberarsi da ciò che c’inchioda al palo e sentirsi liberi di essere
noi stessi. Ciò richiede una conversione interiore che ci porta ad
amare ogni momento della nostra giornata, a sentirsi amati, creati per
cose grandi e ad affrontare con positività anche le prove della nostra
esistenza. Vi sono persone che
hanno l’infinito dipinto nello sguardo, che parlano poco e sorridono
tanto, che atteggiano il viso in quel modo bonario che invita alla
confidenza e fa emergere la fiducia. Vi sono persone che
trascinano gli altri soltanto perché li sanno ascoltare e comprendere,
soltanto perché sanno mostrare loro un’alternativa alla solitudine
interiore che li destabilizza, che li aiutano a riconciliarsi con se
stessi e li portano a scoprire che la concordia e la speranza sono la
sola fonte che li rende migliori, che li consola e li affranca dalla
noia del sopravvivere ad una vita senza scopo e deprimente. Per convertire il cuore
e liberarlo dal conformismo delle apparenze, dall’usura del così
fan tutti, dall’aggressività di imporre
la propria opinione anche se non richiesta e dalla droga del potere è
necessaria l’umiltà di riconoscere i propri limiti umani e usare il
buon senso per accogliere il prossimo così com’è: se Dio ci chiede
di andare a lui e di amarlo così come siamo, noi dobbiamo imitarlo se
lo vogliamo riconoscere nel volto di chi incontriamo. Ciò non significa
rinunziare a scegliere la compagnia di persone che sono affini a noi
stessi e ci danno pace, significa non isolare chi incrocia il nostro
cammino nel lavoro, nella società, nella comunità o nella famiglia e
avere verso tutti quella benevolenza che fa sentire le persone accolte e
rispettate. Significa fare un piccolo sforzo per non rispondere con
parole taglienti o con gesti impazienti a chi ci rivolge la parola e
avere compassione per gli altri: ossia soffrire con loro quando soffrono
e condividerne le gioie. Molte volte si possono
risolvere dei problemi che sembravano insormontabili con la gentilezza
ed un gesto di fraternità. In questo mondo siamo
tutti assetati d’amore e di accoglienza. Le dinamiche di un quotidiano
veloce, superattivo, stressante e debilitante, però, soffocano la
nostra spiritualità. La mancanza di una vita interiore uccide il nostro
corpo e ci rende mostri insensibili e ciechi che inciampano sul vicino
perché non lo vedono: per loro è trasparente. È allora che il nostro
quotidiano diventa invivibile, frustrante e assolutamente vuoto.
Anelare all’infinito di un quotidiano pieno di bellezza e
di presenza divina è l’unico modo per vivere già in terra il
paradiso. A questo infinito siamo tutti invitati a partecipare, a questo
destino siamo chiamati da Dio, in questo spazio di grazia ci dobbiamo
tuffare e dalla sua corrente d’amore farci trasportare. Credo proprio che gli
esseri umani abbiano un bisogno d’infinito. È proprio della natura
umana il volere superare i limiti di una vita terrena, cercare uno stato
d’essere in cui ragione e fede, pensiero e sensazione, azione e
riposo, dualità spesso spaventose dell’esistenza fisica, possano in
qualche modo conciliarsi. Tutti noi abbiamo bisogno che Dio ci aiuti e
ci conforti nelle sofferenze, che c’ispiri a vivere vite migliori e più
piene, che ci benedica e ci sostenga nella prosperità. Dio entra nella vita in
modo dirompente, crea turbamento, confusione, anche quando porta liete
notizie. Egli entra anche nelle vite che si sentono inadeguate e ci dice
di non temere la debolezza umana che non si sente mai pronta. L'azione di Dio non si
svolge fuori dalla storia, Egli viene nella normalità della vita
quotidiana, egli preferisce i piccoli, gli anonimi e chiede ospitalità.
Se l’uomo accoglie il Signore, Egli, poi, genera vita ed è
inevitabile che l’uomo diventi ciò che lo abita: vita vera è essere
abitati da Dio. In un giorno
qualunque, in una casa qualunque, nell'intimità di una vita
normale un incontro può cambiare totalmente i nostri progetti. Dio ci sfiora non solo
nelle liturgie, nelle giornate straordinarie, nei giorni di ritiro, ma
anche e soprattutto nel quotidiano. Dio ci parla prima di tutto là dove
siamo noi stessi, nel silenzio. La nostra casa è il luogo normale della
prossimità con Dio. Maria è testimone autorevole di chi, incontrando
Dio, cambia radicalmente la propria esistenza. Il Vangelo ha bisogno di
noi, delle nostre mani, dei nostri cuori per essere testimoniato. Questo è accaduto
nella vita di Piero Magrì e oggi posso testimoniare di aver vissuto
questa esperienza nel rapporto con Piero. Sento la gioia di averne avuto
il Dono d’incontrarlo e conoscerlo. Il volto amico di Piero
mi accompagna in ogni momento della giornata ed è per me motivo di
grande serenità e gratitudine. Posso descrivere la sua
persona come l’uomo delle Beatitudini:
buono, coerente, sempre animato dall’energia del bene, capace di
accoglienza generosa, incapace di recare danno ad alcuno e lontano da ogni
pregiudizio, profondo nelle intuizioni, semplice nel presentarsi,
gigante nel lavoro, umile nel considerarsi, eclettico nel sapere,
disponibile a consigliare e ad aiutare gli altri e roccia salda
nella fede. Questo è l’amico che mi ha camminato accanto
per diversi anni e ha fatto parte della nostra Comunità del Pettirosso. Di origini siciliane,
ne conservava la solarità e la squisitezza dell’accogliere e
dell’ospitare. Quando andavo a trovarlo gli brillavano gli occhi e mi
riceveva con quel suo modo familiare, discreto, educato che fa sentire
l’ospite la persona più gradita al mondo. Piero è sempre stato
un uomo innamorato: amava la vita e l’attraversava come fosse
un’avventura, amava la natura e se ne inebriava quando aiutava sua
moglie Daniela nelle mostre d’arte o nella pubblicazione dei suoi
libri, si deliziava della lettura che considerava fonte di continua
ricchezza, amava il suo lavoro che svolgeva come una missione: il
culmine dell’amore, però, lo ha sempre trovato nella sua famiglia, in
essa ha sperimentato l’àgape di
tutte le virtù. L’incontro con sua
moglie Daniela ha reso la sua vita completa, li ho uniti in
matrimonio il 22 luglio del 2001 e in vita mia non ho mai
incontrato coppia più affiatata: due corpi e un’anima, una
testimonianza per tutti. Laureato in ingegneria
elettronica ha ricoperto ruoli prestigiosi alla SIP (ora Telecom),
all’Ospedale Bambino Gesù di Roma come capo Ripartizione responsabile
del Centro Elaborazione Dati e alla Casa di cura “Sollievo della
Sofferenza” a San Giovanni Rotondo dove ha offerto un contributo
di esperienza e competenze fondamentale per l’ammodernamento del
sistema informativo aziendale della struttura. So che Piero ha sempre
pregato per me, per la mia salute, per le mie opere, per la Comunità,
per i miei amici e anche per quelli che hanno smarrito il senso
dell'amicizia, chiedendo sempre alla Madonnina di far loro ritrovare la
strada giusta. Adesso queste preghiere saranno più forti, perché
sante. Abbiamo già assistito ai primi "miracoli di conversione del
cuore" in occasione della celebrazione del suo funerale. Le testimonianze che
accompagnano il suo ricordo sono concordi nel descriverlo una persona
sempre presente che ha seminato amore, un uomo speciale con la capacità
di ricercare i valori della vita e di viverli con gioia, un individuo
essenziale incapace di superficialità. I suoi collaboratori lo hanno
sempre apprezzato per il suo valore umano e manageriale, per la
professionalità con cui svolgeva il suo lavoro pur senza mai ostentare
i talenti che Dio gli aveva dato. Mi piace ricordare il
Pane a doppia lievitazione che impastava con le sue mani e ne faceva
dodici panini con il segno della croce di Cristo in rilievo e li portava
nella nostra chiesa per imbandire la
tavola dell’Ultima
Cena il Giovedì Santo. Daniela mi ha
raccontato così l’ingresso di Piero in Paradiso: “Io
ho avuto tante grandi fortune nella mia vita, la più bella è stata
quella di poter assistere all'ingresso di Piero in Paradiso. Mercoledì
5 marzo alle 11, improvvisamente, il suo cuore ha rallentato, il battito
vorticoso si è normalizzato, il respiro affannoso si è regolarizzato
e, mentre io gli parlavo all'orecchio e accarezzandolo gli cantavo la
nostra canzoncina d'Amore, il suo volto si è illuminato, la pelle si è
distesa, gli occhi socchiusi in un sorriso dolcissimo. Dopo pochi minuti
i monitor si sono spenti ma il sorriso è rimasta impresso nel volto di
Piero e nel mio cuore. Anche mia Mamma, che avevo chiamato perché
entrasse in camera, è stata testimone di questo. Grazie
per le tue preghiere, certamente sono state ascoltate non
"all'umana" ma secondo il "ritmo" di Dio d’altra
parte già qualche giorno
fa tu mi avevi scritto in un sms "Gesù vuole bene a Piero
più di noi tutti ". Daniela al termine
della Santa Messa per il funerale di Piero è voluta intervenire con un
pensiero: “Non Mancanza ma Pienezza.
So che tutti quelli che hanno conosciuto non
superficialmente Piero capiranno perfettamente quello che sto per dire:
senza nessuna retorica Piero è una persona davvero speciale, una
persona essenziale che non ha mai amato la superficialità e gli inutili
orpelli. Desidero solo dirvi che oggi non è possibile parlare di
mancanza ma solo di pienezza. Veramente Piero è, e continua ad essere
più che mai con tutti noi con quello spirito fortissimo che ha sempre
avuto. Io sento forte la sua presenza, sento un senso di benefica
Pienezza, sento il suo Amore. Grazie a voi tutti per averci
accompagnato, ognuno a suo modo, nel percorso della malattia. Piero mi
ha insegnato che si può vivere l’infinito nel nostro quotidiano”. Con queste sue parole
porto nel mio cuore Piero perché è vivo in Dio e con sant’Agostino
dico: “Signore, non ti chiedo perché ce lo
hai tolto, ma ti ringrazio perché ce lo hai dato”.
fr Renzo Roma,
3 Aprile 2014
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